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Translation Volume: 4 hours Completato: Jul 2007 Languages: Da Italiano a Giapponese
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Chimica; Scienze/Ingegneria chimica
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Traduzioni di prova presentate: 7
Da Italiano a Giapponese: La perduta bellezza della città Detailed field: Scienze sociali, Sociologia, Etica ecc.
Testo originale - Italiano 1. La perduta bellezza delle città
Perché abbiamo rinunciato alla bellezza? Perché l'abbiamo eliminata dalle nostre città e l'abbiamo estirpata anche dalla campagna? Eppure, l'abbiamo sempre saputo. La perdita della bellezza coincide, ha sempre coinciso, con la morte della città. Attribuiamo infatti lo standard della bellezza alle città che non esistono più: Ninive, Cirene, Babilonia... Alle città mitizzate dal ricordo, le città del remoto passato di cui esistono soltanto frammenti. Ma anche le città della nostra giovinezza, sempre nel ricordo, ci sembrano bellissime. Le ricordiamo belle come la campagna o l'ambiente naturale che le circondava. Belle città e «belle contrade», come scrive Piero Camporesil.
Adesso, lo dicono in tanti, le città sono diventate invivibili: sporche e violente, degradate e culturalmente spente. Inquinate e congestionate, le nostre città sono diventate brutte.
Non sono più città, sono aggregati (sempre meno urbani). E il paesaggio è devastato.
Forse, per evitare di essere considerati troppo vecchi o nostalgici o incapaci di comprendere il presente e ancor meno idonei a pensare al futuro, abbiamo colpevolizzato la bellezza. Abbiamo deciso che la bellezza non serve, è un sovrappiù. Alla città chiediamo di essere «funzionale» (a che cosa, però, non sappiamo). Pretendiamo che sia «sociale» (banalizzando questo sostantivo appiccicato ormai a tutto). Vogliamo che sia una città «attrezzata» e che abbia uno sviluppo «sostenibile». (Chi e cosa dev'essere sostenuto?) Forse, fa parte della cultura occidentale colpevolizzare la bellezza. Purtroppo anche la città orientale ripete gli stessi stilemi, utilizza, spesso esasperandoli, i medesimi criteri di sviluppo.
Per chi era giovane nel secondo dopoguerra del Novecento, «bellezza» era un termine proibito quanto irritante, riservato solo alle ragazze. L'impegno impediva di usarlo. L'estetica - proprio a causa dei maestri che facevano riferimento a Benedetto Croce - era una cosa che riguardava parrucchiere e profumerie. Certo questo avveniva vuoi per grande ignoranza, vuoi per spirito di contraddizione e di ribellione. Per evitare
soprattutto che con questo termine - così apparentemente soggettivo - si contrabbandassero nefandezze, speculazione edilizia, scempio del paesaggio. Il piacere dell'orrido fu altrettanto elitario della ricerca della bellezza; si cercava però accuratamente di non essere bollati di «decadentismo». Per anni l'impegno e il mito dell'utilitas sostituirono qualsiasi riferimento alla bellezza. Nessun fraintendimento doveva esserci fra etica ed estetica. Poi, la «bellezza» intesa quale risultato di un preciso contesto culturale è diventata misura delle specificità - storiche, artistiche e naturali - che l'hanno determinata.
Una più diffusa consapevolezza della bellezza quale componente necessaria della vita, ha coinciso però con l'abbruttimento progressivo dello scenario fisico. Ma perché stiamo distruggendo la bellezza? Una prima e immediata risposta: sono scomparsi dal nostro orizzonte senso e direzione del vivere collettivo. Città e campagna non esistono più. Il trionfo del tornaconto personale, individuale, ha prodotto offensive periferie. Il sub-urbio si è allargato disperdendosi in villettopoli. E villettopoli, pur con tutti i conforti, si è ulteriormente estesa nel paesaggio.
Hans Immler2 denuncia la drammatica divaricazione tra la smisurata crescita tecnologica dell'umanità e il suo immobilismo etico: «Non è la morale ciò che determina la nostra volontà, ma la nostra volontà di vita determina una morale».
Allo smisurato e disordinato sviluppo dell'urbanizzato corrisponde l'anoressia estetica. A un dominio pseudo-tecnico scientifico - ormai senza limiti - sempre più inserito nella quotidianità, corrisponde un cambiamento impercettibile della coscienza morale degli uomini, la cui evoluzione etica ed estetica sembra essersi bloccata a lontane epoche anteriori.
La richiesta di occupazione e di lavoro, la richiesta di una mobilità scorrevole e di case monofamiliari provviste di tutti i comfort tecnologici hanno avuto - e hanno - la priorità sulla qualità dell'aria, sulla salubrità delle nostre città, sullo stesso nostro benessere psicofisico. Anche perché la malattia, che colpisce il singolo, appare come un evento fortuito, un dato senza legami economici con l'ambiente. Non c'è autentica coscienza del crescente degrado ambientale. Non ci accorgiamo (o ci accorgiamo sempre meno) della perdita della bellezza.
Le ragioni della natura - al pari delle istanze estetiche - stentano a trovare il loro soggetto politico e sociale. Manca un movente, manca chi se ne faccia interprete. Non c'è una «classe generale», come afferma Piero Bevilacqua3, «che ne promuova i diritti (i quali finiscono così coll'essere difesi solo da gruppi o da formazioni eternamente minoritarie)». Non c'è dubbio: ci sono ancora remore che ci trattengono dal rivendicare lo standard della bellezza. Nei fatti, a un'appannata coscienza ecologica si contrappone un crescente agguerrito sostegno al diffondersi dell'urbanizzato. Il contributo tecnico-culturale a quella che viene definita dispersione insediativa, o territoriale, non è più il frutto di una casuale sommatoria di singoli soggetti edilizi che aggiungono casa a casa o casa a magazzino o ad altro manufatto, ma è il risultato di precise tendenze pianificatorie. Pur apparendo casuali o banalmente imitativi, questi indirizzi costituiscono una scelta consapevole e sostenuta. Sono diventati strategia anti-pianificatoria. Il piano che pone regole, che trasforma l'emergenza nella normalità, contrasta - per molti - con lo sviluppo.
Da Italiano a Giapponese: Provincia di Napoli 1 General field: Altro Detailed field: Viaggi e Turismo
Testo originale - Italiano C’è chi li apprezza e anzi cerca di renderli più sensibili, attraverso esercizi specifici e una pratica consapevole; e chi invece se ne considera schiavo appagato. Il saggio Buddha ne diffidava e invitava a superarli,per ottenere la felicità nell’aldilà.
L’erotico Casanova suggeriva di sperimentarne al meglio ogni capacità, per raggiungere il piacere assoluto in questa vita.
Come che sia, nel quarto secolo a.C., per primo fu il filosofo Aristotele a classificare in questo modo i nostri cinque sensi:
organi che interagiscono fra loro per descriverci e raccontarci il mondo in cui viviamo.
E allora, vi consideriate edonisti oppure spirituali, gusto olfatto tatto udito e vista rappresentano comunque le “finestre” che utilizziamo per raccogliere dati al di fuori del nostro corpo. Un’interfaccia grazie alla quale l’organismo percepisce e traduce informazioni dall’esterno per interagire con quanto ci circonda. E fa entrare in noi un intero universo, composto da milioni di emozionanti sensazioni.
Noi, sulla scia di tali biologiche osservazioni, vogliamo proporvi un itinerario “sensuale” nella provincia di Napoli, meta turistica di grande richiamo. Un tour originale attraverso le percezioni tattili, i profumi, i colori, i sapori e i suoni che meglio possono descriverci questa terra bella e incantata; terra amata sin dalla notte dei tempi da antiche civiltà che lasciarono originale traccia di sé, attratti dalla sua natura felice. Poi il bimillenario genio e l’opera creatrice dell’uomo resero questi luoghi uno scrigno prezioso, che è giunto pressoché intatto fino a noi. Un forziere di bellezze amalgamate in modo splendido, ricco, sorprendente e vario.
Sicché un soggiorno nella provincia di Napoli apporterà al turista ben predisposto gioia mentale e fisico piacere.
Attratti dal fascino di queste contrade, oggi come ieri, i visitatori resteranno calamitati dal profilo delle coste, dal colore del mare, dal tepore del sole, dal mistero degli scavi, dall’incanto dei monumenti sacri e profani, dal sapore dei cibi... E visitare le località che vi presentiamo sarà un’esperienza davvero indimenticabile: un’estetica e indimenticabile immersione dentro arte, natura, cultura, memoria e tradizione, per comprendere meglio la storia e la vita della sua gente: alla scoperta di capolavori, paesaggi, folclore, leggende e misteri, enogastronomia e artigianato. Proprio per spalancare le nostre “finestre” corporee al bello e al buono, e ampliarne la loro portata, in un piacevole e totale coinvolgimento dei cinque sensi, che questo piccolo eden terrestre sensibilizzerà come davvero pochi luoghi al mondo...
Da Italiano a Giapponese: NaturalMente vino. General field: Altro Detailed field: Vino/Enologia/Viticoltura
Testo originale - Italiano NaturalMente vino.
Conversazione con Giulio Armani
Giulio Armani, conosciuto nel mondo del vino come direttore di produzione dell'Azienda Agricola La Stoppa di Elena Pantaleoni e da alcuni anni vignaiolo anche in prima persona, ha iniziato la sua collaborazione con La Stoppa nel 1980, ha quindi alle spalle molti anni di esperienza con i vini naturali. Il suo lavoro parte dalla vigna e prima ancora dalla comprensione del territorio. Lo abbiamo incontrato per chiedergli qualche riflessione su questo modo di fare il vino. Così Giulio Armani:
La maggior parte dei vini passa attraverso i consulenti, ma non c'è bisogno di consulenti per fare un buon vino. Occorre una profonda comprensione del terreno e del territorio per capire quali siano le parti dei terreni maggiormente vocati e quali vitigni si adattano a crescere su quelle terre. Il lavoro veramente difficile per un consulente è quello di individuare il terreno e il vitigno, ma se si fa un lavoro serio di questo tipo dopo qualche anno l'azienda può andare avanti da sola, non c'è più bisogno di un consulente in cantina... Molti consulenti complicano le cose per continuare a lavorare.
Qualcuno accusa i vini naturali e anche i tuoi vini di puzzette e imperfezioni, cosa rispondi?
Dipende sempre da quello che si sta cercando in un vino: fino a 10 anni fa c'era un corso A.I.S. ogni 5 anni, oggi ne partono 3 all'anno e non sono gli unici corsi di degustazione che si trovano in giro. Sono rimaste poche oggi le persone che bevono il vino per il piacere di berlo, la maggior parte degli appassionati sono stati indottrinati in malo modo da maestri superficiali che invece di insegnare quello che si trova nel vino insegnano ad interpretare come difetti le caratteristiche di vini non manipolati in cantina.
Secondo me bisogna sempre rispettare i territori e le annate e imparare anche a comprenderne le caratteristiche. Quando imbottiglio un vino capita anche a me di chiedermi se sia troppo alto di acidità o se sia troppo tannico, ma mi rendo conto che sono domande sbagliate, è l'annata che da' il vino. Il mio compito è quello di creare le condizioni migliori per la sua evoluzione, un ambiente ideale, ma nulla di più. Bisogna avere sempre la massima pulizia dei recipienti lavandoli anche molte volte per essere sicuri che non rimangano residui, vanno effettuati i travasi e va controllata e accompagnata la fermentazione malolattica aiutandola ad esempio con la temperatura dell'ambiente in cui avviene la fermentazione. Questo è un momento particolarmente delicato per il vino ma non occorre intervenire in modo invasivo.
Sulla buccia dell'uva sono presenti tantissimi lieviti e in base all'andamento climatico alcuni muoiono e altri si attivano durante la fermentazione. Ogni lievito da' al vino caratteristiche e sapori particolari, ma come si fa a dire che un lievito naturale dell'uva da' un'impronta sbagliata al vino? Magari non diventa il vino facile da vendere, ma è questa la direzione in cui bisogna lavorare e poi le persone che apprezzano il tuo lavoro si trovano.
Ogni territorio ha una propria vocazione, bisogna capirlo e rispettarlo, ma soprattutto capirlo:
1) capisci dove sei,
2) se pensi di essere un buon viticoltore vuol dire che coltivi bene la tua vigna, raccogli uve sane e mature al punto giusto,
3) tiri fuori tutto quello che c'è dalla buccia.
Il mosto è un solvente, è lì per tirare fuori dalla buccia tutte le sue componenti e le sue caratteristiche, il risultato sarà soddisfaciente se abbiamo un'uva buona e matura. Tutto qui.
Bisogna essere dei buoni osservatori, non lasciarsi fuorviare dalle apparenze o dalle analisi di laboratorio. Nel 2003 la maggior parte dei viticoltori ha raccolto con grande anticipo affidandosi alle analisi di laboratorio fatte sugli acini più esterni, ma prendendo in mano i grappoli si vedeva che gli acini esterni erano stramaturi e quelli dietro ancora acerbi, forse molte persone avrebbero fatto meglio a lasciare seccare gli acini esterni per portare a maturazione quelli protetti. Questo solo come esempio di come molte persone lavorano oggi: comprano macchinari inutili e costosi, fanno molte analisi, spendono moltissimo in consulenti e prodotti chimici, ma non guardano la propria vigna e non osservano il vino mentre evolve in cantina. Queste sono secondo me le cose importanti da imparare e da recuperare da un'esperienza passata: a volte è meno interessante capire perché le cose succedono proprio in quel modo che accorgersi che effettivamente succedono in quel modo.
Ringraziamo Giulio Armani per averci raccontato un po' di cose del suo lavoro e per averci messo di fronte a qualche argomento in più su cui riflettere, lo ritroveremo presto per approndire altri aspetti del percorso dalla vigna alla bottiglia.
Da Italiano a Giapponese: sì all'agricoltura naturale General field: Altro Detailed field: Vino/Enologia/Viticoltura
Testo originale - Italiano No al biologico, si all'agricoltura naturale!
Intervista con il prof. Roberto Miravalle
Piemontese di nascita e piacentino d'adozione, il professor Roberto Miravalle è agronomo e tutore del Master di Viticoltura e enologia preso la Facoltà di Agraria dell'Università degli Studi di Milano. Una lunga esperienza nei vigneti naturali, ma anche con imprese vitivinicole meno artigianali fanno di lui un interlocutore ideale per parlare di uva coltivata con metodi biologici.
Iniziamo subito con una domanda pratica: quali sono secondo lei le difficoltà (o le differenze) che comporta lavorare un vigneto in agricoltura biologica rispetto all'agricoltura convenzionale o alla lotta integrata?
Io sono assolutamente contrario all'agricoltura biologica soprattutto in vigneto: così com'è interpretato oggi il sistema del biologico sta in piedi solo grazie ai finanziamenti pubblici. Gli agricoltori che decidono di lavorare in regime di agricoltura biologica ricevono circa 900,00 € per ettaro a titolo di indennizzo per le maggiori difficoltà incontrate nella lavorazione e molti scelgono questa strada per ricevere finanziamenti.
Il disciplinare che oggi regola la coltivazione biologica dell'uva da un lato contiene troppi cavilli legali che impediscono un'azione realmente naturale in vigneto, dall'altro consente l'impiego delle migliori macchine e della più avanzata tecnologia genetica presenti sul mercato e non regolamenta aspetti fondamentali. Ad esempio obbliga ad usare il rame che è un metallo pesante tossico e non obbliga all'inerbimento del vigneto...
Chi sceglie l'agricoltura biologica non deve seguire un protocollo, ma avere un atteggiamento globale verso la terra e la coltivazione del vigneto, devi essere sempre presente e seguire un aggiornamento costante: non puoi usare gli antagonisti naturali per combattere le malattie del vigneto se non ti tieni informato costantemente!
Il biologico è un'etichetta, l'agricoltura naturale è invece quella che ha un rapporto con il clima, con la pianta, con le persone. L'agricoltura naturale è meno soggetta a norme e non mi scandalizzerei se vedessi andare a vangare il vigneto con un cavallo da tiro belga... Entrando in un'azienda agricola biologica vorrei trovarmi in un orto giardino, ma va fatto seriamente con una reale attenzione all'ambiente che tenga in considerazione ad esempio il risparmio energetico, la protezione del suolo (occorrono oltre 400 anni per formare un terreno adatto all'agricoltura!) e delle acque. E in questo senso i 900,00 € di contributo per ettaro dati a un agricoltore che si occupa seriamente di questi aspetti dovrebbero essere non un indennizzo, ma una sorta di compenso per l'importante lavoro di salvaguardia del territorio che svolge.
Parliamo quindi di agricoltura naturale e non di agricoltura biologica. Ha accennato a reali difficoltà nella conduzione di un'azienda vitivinicola biologica, quali sono?
Prendiamo la Val di Cornia come confine ideale, Firenze e dall'altra parte le Marche ne sono il proseguimento. Bene, dalla Val di Cornia in giù non è difficile condurre un vigneto con metodi naturali, ma nel nord Italia abbiamo tre grossi problemi che vanno trattati: peronospera, oidio e flavescenza dorata. Sono tre malattie che devono per forza essere combattute e combatterle con i principi ammessi dall'agricoltura biologica è possibile solo con una grandissima attenzione da parte del produttore che deve trattare la propria vigna come un figlio. Per questo sconsiglio caldamente un'azienda vitivinicola commerciale dal certificarsi biologica, si va incontro a difficoltà reali e non c'è un reale ritorno in termini di salvaguardia dell'ambiente: il rame è un metallo tossico pesante e lo zolfo può arrecare danni in quanto è fotosensibile... occorre accuratezza anche nell'impiego di questi prodotti...
Quando si parla di agricoltura naturale occorre sempre considerare anche la situazione contingente e quello che si trova attorno alla vigna, nonostante il vigneto sia una oggi una monocoltura non si deve perdere di vista quello che c'è attorno e questo è un motivo in più per rispettare il terreno e l'ambiente.
Ma il vigneto non è sempre stato una monocoltura...
In passato in Piemonte c'era la cultura dell'alteno. Metodo di coltivazione della vite oggi in disuso in cui i filari erano distanziati circa 2,50 / 3 metri per permettere tra un filare e l'altro la coltivazione di ortaggi, frumento, patate o mais da polenta che allora era una pianta molto bassa. Inoltre spesso al capo del filare stavano alberi da frutta, solitamente peschi perché hanno una chioma più aperta e non fanno ombra sul vigneto.
Già in passato c'erano molti agricoltori critici nei confronti di questa forma di coltivazione introdotta da Cavour e il tempo ha dato loro ragione: questa forma di coltivazione è in contrasto con la qualità che oggi si cerca nell'uva da vino perché gli ortaggi richiedono concimazione e la vigna no.
Questa forma potrebbe ancora essere praticata al centro-sud Italia dove puoi fare colture invernali che non entrano quindi in sovrapposizione con il vigneto.
Abbiamo parlato molto di coltivazione del vigneto, vogliamo parlare del vino biologico nel momento della sua trasformazione in cantina?
La normativa oggi vigente sul vino prodotto usando uve biologiche non ha limiti, mentre in cantina le cose cambiano, i limiti sono rigidi. Una qualsiasi cantina vitivinicola che persegua la qualità utilizzerà meno solforosa possibile nei propri vini perché è un additivo che nella sensorialità del vino si avverte già quando è a un terzo del limite consentito dalla legge. Ma nella produzione di vino biologico (parliamo qui di produzione in cantina) la solforosa è del tutto vietata. Certo si può lavorare prevenendo l'ossidazione, ma è difficile e ancora una volta questo è più agevole al centro-sud dove piove poco e i vini sono molto alcolici. L'alto grado alcolico mette in grado un vino di difendersi da solo dall'ossidazione.
L'ossidazione è anche in relazione al tempo di partenza della fermentazione e se usi rame in vigna fino alla fine rischi di uccidere tutti i lieviti indigeni dell'uva (i cosiddetti lieviti di campagna) e di avere quindi fermentazioni che partono con estrema lentezza. Avere una cantina non perfettamente pulita in questo caso aiuta...
Ringraziamo il prof. Miravalle per la sua disponibilità e per aver instillato qualche dubbio su questo spinoso argomento. Torneremo a parlare con lui di vino e di vigna...
Da Italiano a Giapponese: Professione Barista General field: Altro Detailed field: Alimenti e Bevande
Testo originale - Italiano Professione Barista
Prima, durante e dopo: sempre professionali
Nella filiera del caffè espresso la figura del barista ricopre una posizione molto rilevante. Il mestiere del barista richiede esperienza, abilità tecniche, conoscenze nella gestione, controllo e manutenzione dei prodotti e delle attrezzature predisposte per preparare un espresso italiano perfetto.
La gestione
Miscela:
sceglie la qualità, gestisce lo stoccaggio e ne verifica la costanza qualitativa.
Macinazione:
registra la dose in base alle condizioni climatiche.
macina solo la quantità di caffè necessario.
Dosatura:
imposta la corretta grammatura (6,5-7g).
Pressatura:
esegue una corretta compattazione del macinato posto nel filtro (15-20 Kg).
Acqua:
valuta il miglior sistema di trattamento dell’acqua per le sue esigenze.
Estrazione:
mantiene una corretta manualità nella preparazione (flussa i gruppi e le lance vapore nei momenti giusti, pulisce il filtro prima di agganciarlo, svuota i fondi, tiene i portafiltri caldi agganciati ai gruppi).
Tazze ed accessori:
sceglie tazze adeguate e le posiziona sul scaldatazze in maniera funzionale.
organizza l’area lavoro.
Servizio:
velocità, pulizia, cortesia, sorriso e cura nella presentazione.
Il controllo
Macchina:
controlla il valore della pressione in caldaia (attorno a 1 atm).
controlla il valore della pressione dell’acqua d’esercizio durante l’erogazione (8-10 atm).
verifica la temperatura dell’acqua per l’erogazione (88-92°C).
verifica lo stato dei gruppi (guarnizioni, doccette, portafiltro, filtro e beccucci).
controlla che i tempi d’estrazione siano compresi tra i 25 e i 30 secondi e il volume dell’estratto tra i 25 e i 30 cc.
Macinadosatore:
controlla il grado di macinatura.
verifica l’usura delle macine.
controlla la dose e la giusta quantità di macinato nel dosatore.
Tazze:
verifica la temperatura delle tazze.
Acqua:
controlla la durezza dell’acqua e il suo contenuto di cloro.
La manutenzione
Macchina:
pulisce guarnizioni, doccette, portafiltro, filtro e beccucci.
pulisce il poggiatazze, la vaschetta di scarico, e le lance vapore.
esegue il lavaggio dei gruppi con il filtro cieco.
chiama il tecnico per un controllo generale ogni 6 mesi.
Macinadosatore:
pulisce la campana, le macine e il dosatore.
chiama il tecnico per il cambio delle macine usurate.
Tazze:
sostituisce le tazze scheggiate o usurate.
Acqua:
cambia l’acqua in caldaia.
Depuratore:
effettua la rigenerazione e delle resine.
cambia le resine in base alle indicazioni dell’installatore.
Da Italiano a Giapponese: La degustazione dell’espresso General field: Altro Detailed field: Alimenti e Bevande
Testo originale - Italiano La degustazione dell’espresso
Vista, olfatto, gusto, tatto, udito si fondono nella mente in un unica esperienza sensoriale
Nel metodo d’assaggio espresso vengono considerate quattro fasi fondamentali:
Esame visivo
il colore della crema non dovrà essere né troppo chiaro né troppo scuro, ma piuttosto color nocciola con striature rosso scure (manto di tigre).
La consistenza della crema sarà ottimale se compatta con maglia fine (con un’altezza di 3-4 mm) e senza spazi che lascino intravedere il colore nero del caffè.
La persistenza di tale crema dovrà essere abbastanza forte da conservare un aspetto uniforme della superficie per alcuni minuti.
Esame olfattivo
Il profumo dovrà essere piacevole e intenso, altrimenti si tratterà di un semplice “odore”. I profumi e aromi possono essere diversi: fruttato, fiorito, cioccolatoso, tostato, speziato.
Esame gustativo
Per una corretta analisi è utile disporre di 2 tazzine, per provare il caffè prima amaro e poi zuccherato (di norma una bustina o una zolletta) e poter individuare altri eventuali pregi e/o difetti. Inizialmente, dopo aver aspirato e “masticato” una piccola porzione di espresso, ci si chiederà: dà una sensazione piacevole o spiacevole? Al di là del nostro giudizio personale, può capitare che il caffè non rispecchi i parametri organolettici di quell’origine.
Successivamente si verificheranno le sensazioni tattili, ad esempio se trasmette al palato una sensazione ruvida o morbida. Poi si indirizzerà l’attenzione sull’esame dei sapori primari: è troppo acido? L’amaro è assente? La dolcezza è troppo leggera?
Infine, si passerà all’individuazione di eventuali difetti come: terroso, erboso, legnoso, immaturo.
Valutazione Finale
L’ultima analisi darà una valutazione globale su retrogusto, equilibrio e struttura della tazza.
Noi BBB ci presentiamo come un'azienda le cui attività sono mirate alla redazione delle nostre pubblicazioni orginali e alla cui distribuzione diffusa agli enti pubblici tra cui il Museo CCC per il loro uso, così da poter promuovere al meglio DDD e trasmettere le informazioni che le riguardano a tutto il mondo.
Con la presente Vi contattiamo per richiederVi la stesura di un articolo di testa su un libro intitolato EEE 20XX" che intendiamo pubblicare verso inizio aprile del 20XX.
A partire dal 200X fino ad oggi, di "EEE" ne sono state pubblicate dieci edizioni come documentazioni valide su FFF, e sono entrate a far parte del fondo librario dei musei, biblioteche e uffici diplomatici di tutto il mondo.
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Dunque ci auspicheremmo sentitamente che Sig. GGG scriveste su questa nostra pubblicazione.
In fine, Vi preghiamo di voler leggere attentamente il file che potete trovare in allegato prima di avviare la stesura del Vs. articolo. Vi ringraziamo, in anticipo, per la Vs. collaborazione.
Cordiali saluti,
Luglio 20XX
BBB Co., Ltd. Editorial section
Work experience (Japan):
Pearl culture industry and jewellery production/retail (1986-1989).
Work experience (Italy):
worked as a model and prototype maker for some of most prestigious Italian Jewellery manufacturers (1989-2002).
I translated both correspondence and technical texts throughout the above-mentioned period.
Freelance translator since 2003.
Specialty:
*jewellery industry (manufacturing process; specifications; contracts)
*tourism promotion (website including all kinds of topics as history, info on archeological sites and monuments, culture, tradition, folklore, gastronomy, etc.; audio guide; multimedia terminal; brochures)
Personal information including CV and a list of selected major projects is available upon request.
See also my project history.
*
For JP-IT translations, one of my native collaborators specialized in Italian grammar would entirely examine the texts before delivery, unless asked NOT to do so.
*
Good knowledge on food, wine, winemaking, cuisine, confectionary (my family runs an Italian restaurant) as well as on history of fine art, architecture and archaeology.
See my sample translations.
I've truly excellent advisors for the many of my fields of expertise.
Many of them live and work in my area and some in other regions in Italy: tour operators, tour guides, winemakers, oenologists, sommeliers, chefs, wine sales agents, food and wine critics and journalists, agriculturists, cheese makers, specialists in cheese maturing, writers specialized in museum organization and museum networks, archaeologists, and so on.
Questo membro ha acquisito punti KudoZ aiutando altri colleghi nella traduzione di termini di livello PRO. Cliccare sui punteggi per visualizzare le proposte di traduzione suggerite.